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“Il discorso del re” illumina con garbo e maestria una pagina poco conosciuta della storia britannica: la lotta del monarca contro i difetti della pronuncia. Giorgio VI, re d’Inghilterra durante la seconda guerra mondiale e padre della regina Elisabetta, smette (quasi) di balbettare grazie ai metodi alternativi di un logopedista australiano.

Un soggetto che sembrerebbe più adatto per una fiction della BBC che a una pellicola da Oscar. Delle splendide fiction inglesi “Il discorso del re” ha la fotografia curatissima, la recitazione misurata e impeccabile, le atmosfere raccolte, il gusto della tradizione. Ma agli Academy Awards ha sbancato: miglior film, miglior regista, miglior attore, migliore sceneggiatura originale. Meritati? Chissà. Il film di Tom  Hooper non sembra avere lo spessore per durare nel tempo e l’adorabile, e incensatissimo, Colin Firth appare costipato per tutta la durata della proiezione. Quanto alla migliore sceneggiatura, quest’anno avrebbe senz’altro meritato di più “Inception”.

Gli unici Oscar che “Il discorso del re” avrebbe dovuto vincere, non li ha vinti. Quello per i migliori costumi, ad esempio. Perché questa statuetta deve sempre andare a film fantasy, di fantascienza o baracconi in costume? Gli splendidi cappotti sfoggiati da Colin Firth meritavano eccome un riconoscimento. L’eleganza inglese va premiata. Come va premiata la migliore attrice non protagonista, un’ottima Helena Bonham Carter, finalmente libera da ruoli dark, che interpreta con grazia il ruolo della moglie del re.

La polemica è stucchevole e ritorna periodicamente, le modelle sono troppo magre, viva le donne con le curve, bla bla bla.

Un’ipocrisia devastante, che non fa che accrescere il senso di inadeguatezza delle ragazze normali. A nessuna donna piace essere definita burrosa né tantomeno in carne. Tutte desiderano essere magre. Ma il problema è proprio la definizione stessa di magrezza.

Prendiamo l’ultima boiata, quello delle taglie 44 a Miss Italia. Giulia Nicole Magro, finalista l’anno scorso, è alta 180 cm e pesa 57 chili. La grande moda la rifiuta perché ha un paio di centimetri in più sui fianchi. Da ciò tutti a definirla un modello più sano di donna. Eppure basta calcolare il suo indice di massa corporea (peso diviso il quadrato dell’altezza, dovrebbe essere compreso tra 19 e 25) per capire che con un indice del 17,59 (57/3.24) è sottopeso.

“Sono le persone inutili, gente destinata a perdersi”. Questi immortali versi di Paolo Vallesi, vincitore di Sanremo Giovani nel lontano 1991, raccontano la parabola di molte meteore sanremesi. Ma la canzone di Vallesi non deve trarre in inganno: molti di questi cantanti hanno fatto fortuna in altri campi.

L'album del brano sanremese di Tom Hooker

L'album del brano sanremese di Tom Hooker

Un'opera di Thomas Barbery, alias Tom Hooker

Un'opera di Thomas Barbery, alias Tom Hooker

Tom Hooker nell’81 si esibiva in pattini a rotelle sul palco dell’Ariston cantando “To-to-toccami mi dai brividi” (fu subito eliminato), ora è un apprezzato artista visuale a Las Vegas, e le sue sorprendenti immagini in bianco e nero sono esposte in tutto il mondo.

Paolo Occhipinti partecipò al Festival con l’accattivante pseudonimo di John Foster per ben due anni di fila, nel ’65 con “Cominciamo ad amarci” e nel ’66 con “Se questo ballo non finisse mai”, due testi di pura banalità sanremese che non raggiunsero mai la serata finale. Le cose gli andarono meglio come giornalista: entrato in Rizzoli negli anni ’60, per 26 anni ha diretto uno dei più popolari settimanali italiani, Oggi.

Pino Donaggio, con quattro partecipazioni, è un veterano di Sanremo. Il successo arriva nel ’65 con “Io che non vivo (senza te)”, un brano cantato ancora adesso e interpretato di recente da Francesco Renga. Pino Donaggio non ha abbandonato la musica, ma ha lasciato il palcoscenico. Ora è un apprezzato autore di colonne sonore, specializzato in horror. Sue le musiche di capolavori come “Carrie, lo sguardo di Satana” di Brian De Palma, ma anche di “Non ci resta che piangere”.

L'album di Faletti del 1992

Nel 2002, il primo libro di Faletti. Quattro milioni di copie

Per non citare Giorgio Faletti, già cabarettista, tre volte partecipante a Sanremo: prima con “Rumba di tango” in coppia Orietta Berti, poi con “Signor Tenente”, con cui sfiorò il primo posto, e l’anno dopo con la malinconica invocazione al Signore, “L’assurdo mestiere”. Ora è più facile conoscere i suoi thriller, venduti in milioni di copie, che le sue canzoni.

Dalla collezione 2011 di Car Shoe, gruppo Prada

Va bene l’eccellenza del made in Italy, ma che cos’è ‘sta roba? Un mocassino, più uno stivale, più un peluche, più un leopardo.

Perché?

Perché un marchio nato per produrre dignitosi mocassini da guida (quelli con i gommini tondi sulla suola, per capirci) deve proporre l’ennesima variazione priva di senso sul tema animalier?

Jimmy Choo leopardate con borchie

Del resto le Car Shoe sono in buona compagnia: guardate quest’orrida babbuccia-stivale nata dalla collaborazione di Ugg con Jimmy Choo. Pare proprio che ci troviamo davanti a un trend della stagione. La domanda è sempre la stessa: perché alle donne piacciono le brutte scarpe?

Pompei è patrimonio mondiale dell’umanità, purtroppo per l’umanità Pompei è  in provincia di Napoli. Non farò nessuna battuta sui napoletani, dico solo che mi fiderei di più degli infidi cinesi.

Chi ha un patrimonio dell’umanità dovrebbe occuparsene, noi italiani non siamo evidentemente in grado. Soldi per la cultura non ce ne sono o non si vogliono trovare o non si sanno gestire.Vendiamo per dieci anni Pompei ai cinesi, di sicuro faranno di meglio.

Michelle Hunziker è adorabile. Davvero.  In televisione si muove molto bene, è splendida e divertente. In televisione, appunto. Purtroppo si è impegnata in nuovo musical, “Mi scappa da ridere”, pare tagliato su misura per lei. Ricordo con sgomento quando andai a vederla interpretare la novizia Maria in “Tutti insieme appassionatamente”.

Già non sono un’amante dei musical. Come si dice in questi casi, accompagnavo un’amica. Per riuscire a offrire uno spettacolo tollerabile i protagonisti dei musical devono essere davvero bravi. Ottimi ballerini con doti anche acrobatiche, eccelsi cantanti e soprattutto grandi attori, in grado di farti dimenticare l’esilità delle trame e rendere credibili i personaggi più imbarazzanti. Di solito ci riescono, perchè a certi livelli la selezione è davvero dura.

Michelle Hunziker no. E’ proprio scarsa. Cioè, per cantare canticchia (anche se non ha voce) per ballare ballicchia, per recitare… Recita come una brava bambina al saggio di Natale della quinta elementare. Non basta proprio. E dispiace pagare per vedere qualcuno fare il mestiere di un altro solo in virtù di una popolarità acquisita in televisione.

Le mie opinioni sull’arte moderna non sono particolarmente originali: un’accozzaglia di provocazioni insensate prodotte da persone senza particolare abilità manuali, le cui quotazioni dipendono da critici e mercanti d’arte che decidono cosa promuovere in base a criteri a me ignoti.

Però Cattelan mi piace. Più che piacermi, mi diverte. Ho visto la sua esposizione a Palazzo Reale. Sono rimasta molto colpita dalle parole di introduzione dell’assessore alla Cultura Finazzer Flory, che dell’opera che vedete qui sopra riprodotta, La nona ora, ha scritto che simboleggia la resistenza della massima autorità spirituale (Papa Wojtyla) ai mali del mondo (il meteorite). Tutto ciò mi ha fatto venire in mente alcune idee.

Ecco i miei progetti per future opere d’arte:

  • Dalai Lama folgorato da un fulmine. Spiegazione: idem come sopra
  • Stalin che gioca a bocce. Spiegazione: simboleggia lo scherno per le antiche ideologie e insieme il dramma di un uomo che ha tenuto buona parte del mondo nelle sue mani (le bocce), giocando crudelmente con il destino di milioni di persone
  • Bambina che fa le pernacchie (istallazione con effetto sonoro). Spiegazione: irrisione delle ideologie del passato e insieme speranza per il futuro e rivendicazione femminista

Naturalmente il tutto può essere visto come un tritico e assumere un surplus di significato: anche se la spiritualità nei contemporanei viene meno le ideologie sono sconfitte dal gesto irrisorio di una bambina. Una pernacchia ci salverà.

“Dove vanno non ci interessa” , dice l’assessore alla Sicurezza della Lombardia Romano La Russa, fratello del più celebre Ignazio. I rom vanno sgombrati: rubano, non si integrano, sono sporchi e ci fanno a tutti un po’ schifo. L’antirazzismo con loro non vale. I rom sono i nuovi negri.

Vi aspettate che Bastian Contraria dica che le fanno simpatia? No, non mi fanno simpatia. Non ho nessun ricordo positivo legato ai rom, solo un senso di fastidio pensando a donne scalze e puzzolenti che con una certa arroganza chiedono l’elemosina tenendo in braccio bambini cenciosi.

Penso dipenda dal fatto che non ne ho mai conosciuto nessuno. Beninteso, un giorno sono venuti in casa mia a rubare (la polizia dice che sono stati loro, io so solo che non hanno trovato quasi niente e si sono mangiati le kinder fette-al-latte) ma quello non vale. Probabilmente chi ha un compagno di scuola rom alle elementari la pensa diversamente, per lui il rom è un bambino come un altro.

Ma la questione che voglio affrontare adesso è un’altra. E cioè: posto che non li vogliamo, cosa ne facciamo dei rom? Io vorrei che qualcuno avesse il coraggio di dare una risposta. Che non deve essere necessariamente “diamogli una casa, integriamoli”. Voglio sapere dove li mettete: rispedirli da dove vengono? (Romania? Bulgaria? Nord dell’India??) Deportarli direttamente in Groenlandia? Metterli in prigione? Su un’isola? In una riserva naturale?

Giuro, preferirei che qualche cretino invocasse la soluzione finale e lo sterminio di massa.

Almeno sarebbe chiaro di cosa stiamo parlando.

Voglio l’afa

Bastian C. parla del tempo con le amiche

In questo inizio di agosto lombardo l’aria è tersa, il sole è caldo, sembra il clima ideale, ma… Mi manca l’afa. Di giorno è quasi ventilato e la sera è meglio mettere in jeans e portarsi una felpa.

Che fastidio. Io non voglio preoccuparmi di avere freddo ad agosto. Preferisco l’afa, la canicola, il solleone.

Non è estate senza afa. Voglio sudare stando ferma, rimanere oppressa dall’umidità bollente, non dormire la notte, cercare refrigerio nelle bibite ghiacciate, essere impedita a qualsiasi sforzo dai 40 gradi all’ombra. Voglio che il caldo sia come sempre il più gettonato argomento di conversazione e voglio potermene lamentare con gli altri sopravvissuti.

E invece stanotte mi è toccato dormire con la copertina.

Direttamente dal sito web più caldo dei Mondiali, scelgo di ospitare tra le mie pagine l’intervento del bastiancontrario Dario Ronzoni:

Il nostro Mondiale è finito: almeno ci siamo tolti il pensiero. In queste ore lugubri di rabbia masticata e triste spossatezza è necessario riconsiderare tutto. Non è andata male. È andata benissimo. E c’è un perché, anzi, ce ne sono almeno tre.

Innanzitutto perché possiamo cavarci una soddisfazione importante: poter dire che avevamo ragione noi. E non è poco: direi anzi una rivoluzione. Basta con queste panzane del gruppo, del carisma, dell’amalgama tra vecchi e giovani. Se si vuol vincere il Mondiale bisogna chiamare i più forti, perché di solito (e questo lo sanno anche i bambini) sono i più forti a vincere. Punto. Un assioma talmente elementare che anche Maradona l’ha applicato. Noi no. Un po’ per omaggiare gli ex-campioni del mondo, un po’ per pigrizia, un po’ per presunzione. Insomma: per incompetenza e quasi disprezzo delle leggi umane e divine. Sono intervenuti gli dèi, assunta l’insolita forma della Slovacchia, a punire la nostra arrogante sfida al Mondiale fatta a colpi di brocchi e bolliti.

Secondo vantaggio: non li vedremo più. Gentaglia come Iaquinta, inspiegabili ripescati come Camoranesi, e anche Gilardino. Mettiamoci pure Cannavaro. Bye bye, babes. Solo per Gattuso può dispiacere. Ma è ora di svecchiare tutto, premiare la capacità e non attingere stancamente a serbatoi esauriti come la Juve di quest’anno. Del resto lo sapevamo, e il monito di Nanni Moretti aleggiava, inquietante, nei nostri cuori: «con questi qui non vinceremo mai». Non è vero? Due pareggi e una sconfitta per Lippi, l’Antipatico. Così ci ha fatto dimenticare il miracolo del 2006 e può farsi da parte senza nostalgie e rimpianti. D’ora in avanti il ruolo del tecnico sarà finalmente ridimensionato, e solo al momento della scelta dei convocati sarà davvero decisivo. Speriamo che il prossimo si informi di più e non lasci a casa quelli forti davvero, mica Quagliarella.

Vabbe’, è andata così. Ci restano quattro anni per riprenderci dalle bastonate prese in queste settimane. Qualche lacrima è concessa, mentre si ammaina la bandiera e ci si guarda intorno per riprendere la vita normale, riflettendo in silenzio. Sì, in silenzio. Grazie a Dio, almeno ci siamo levati di mezzo quelle maledette vuvuzelas. E questo è il terzo motivo.